Questo post nasce dalla volontà di creare un algoritmo universalmente valido per la comprensione e l’analisi di qualunque tipo di notizia, indipendentemente dalla sua provenienza. Lo spunto è nato da un articolo – inviato su un gruppo di WhatsApp, da un mio caro amico – sulla presunta correlazione tra tumori e vaccini. L’articolo in questione è il seguente:
Per chi ha fretta ed è solamente curioso di sapere quale sia il problema di questa notizia, faccio una sintesi per punti:
1 – Il Prof. Angus Dalgleish, oltre ad essere un oncologo, è un politico dell’UKIP (Partito per l’Indipendenza del Regno Unito). Non è esattamente una fonte specchiata di imparzialità e si è già distinto in passato per aver cercato in tutti i modi di piegare la realtà all’ideologia politica del suo partito. Ha sfruttato l’amicizia di un ex capo dei servizi segreti britannici per indirizzare un’attività di cyberspionaggio nei confronti della rivista “Nature”, al fine di accusarla di connivenza con il Governo cinese.
2 – Il Prof. Angus Dalgleish ha un conflitto d’interessi grosso come una casa. L’oncologo, insieme ad un collega norvegese, aveva messo appunto un vaccino non basato sull’mRNA (BioVacc-19) e pretendeva di ottenerne diffusione (guadagnando attraverso il brevetto) senza che questo avesse superato i test clinici. E indovinate un po’, nell’articolo questo oncologo con chi se la prende? Proprio con i vaccini concorrenti a mRNA. Sue testuali parole: “Tutti i vaccini a mRNA devono essere fermati e vietati adesso”. Dalgleish ha quindi tentato affannosamente di pubblicare le sue teorie in giornali scientifici di ogni tipo per ottenere supporto da parte del Governo britannico, senza successo.
3 – Dalgleish sta utilizzando un blog di orientamento conservatore (Conservative Woman), come già in passato aveva fatto con un tabloid scandalistico – noto per la scarsa propensione alla verifica delle fonti – per diffondere le sue ipotesi di correlazione tra tumori e vaccini e spingere i lettori a confondere queste ardite ipotesi con tesi provate.
4 – Anche se per assurdo le ipotesi di Dalgleish fossero fondate, siamo alle solite: correlazione non è causalità. Altrimenti varrebbero anche tutte queste correlazioni (spurie).
5 – Dalgleish viola un principio di credibilità davvero banale. Il consenso nella Comunità Scientifica non si ottiene diffondendo i propri lavori a un pubblico generalista, ma questi devono essere necessariamente sottoposti – prima – ai propri colleghi, i quali hanno le competenze per valutarli. La fase divulgativa arriva dopo, quando dal dibattito emerge la teoria che sa spiegare meglio i fenomeni osservati. Non è purtroppo il caso di Dalgleish che sceglie, chissà per quale motivo, di bruciare (o forse sarebbe meglio dire “evitare”) le tappe e rivolgersi direttamente ai lettori di un blog schierato politicamente (dalla sua parte). Sia ben chiaro: lui una lettera al caporedattore del British Medical Journal sembrerebbe averla mandata, perché riteneva di avere dei dati importanti da comunicare immediatamente, ma il fatto che nessun altro esperto lo abbia preso in considerazione e che la sua lettera sia finita su un sito della sua parte politica, è molto sospetto.
Se lo scopo di questo articolo fosse semplicemente quello di riassumere perché l’articolo di ArezzoWeb faccia acqua da tutte le parti e non rappresenti esempio di alcun tipo di correttezza dell’informazione e forse nemmeno di giornalismo, direi che mi potrei fermare qui. C’è materiale sufficiente per ignorare questa testata sistematicamente o quantomeno prendere con i guanti qualunque cosa si legga su questo sito.
Tra le altre cose, se si leggono i commenti all’articolo di ArezzoWeb, c’è già qualcuno che fa notare i problemi di un contenuto del genere, spacciato per notizia. La risposta della redazione della testata suona come una mano nascosta dopo il lancio del sasso: “Si tratta di una notizia reperita su un quotidiano inglese” (in realtà non si tratta di un quotidiano, ma di un blog di propaganda politica). Ah, beh….allora!? E i giornalisti che ci stanno a fare? Non dovrebbero selezionare le fonti, approfondire (per esempio, come ho fatto io), consegnando ai lettori quanto di più deontologicamente corretto si possa offrire, soprattutto quando si è iscritti ad un albo come quello dei giornalisti? Per il mio livello di onestà intellettuale, questa pratica, cioè quella di intercettare notizie virali di sicuro impatto, ma di dubbia validità e pubblicarle al fine di raccogliere click, per poi lavarsene le mani, dicendo: “io l’ho presa da un altro sito”, è davvero detestabile. Non è giornalismo. E’ chiacchiericcio da bar.
Detto questo, dato che il mio scopo non era solo fare l’analisi di QUESTA “notizia”, bensì quello di trovare un sistema universale per analizzare ogni tipo di informazione, qualunque sia la provenienza, armiamoci ora di santa pazienza e ricominciamo tutto da capo…
L’assunto è che ci arrivi una notizia attraverso uno dei tantissimi strumenti di comunicazione che possiamo vantarci di utilizzare nel 2023: facendo scrolling su questo o quel social network, sfogliando un giornale di carta o ascoltando un amico durante una conversazione. L’obiettivo è capire se si tratti di un’informazione corretta, se questa informazione possa rappresentare davvero una notizia e se la notizia abbia o meno un’implicazione giornalistica o addirittura i connotati per coinvolgerci direttamente, soprattutto nel caso in cui si tratti di una notizia che investe la sfera sanitaria. L’algoritmo da seguire per stabilirlo è composto dai seguenti passi:
1 – Interrogarsi su chi diffonde la notizia e in quale circostanza
Ognuno di noi ha un odio più o meno inconfessabile per qualcosa o qualcuno. Allo stesso tempo abbiamo a cuore determinati argomenti, questioni o personaggi e non sempre tendiamo a rendere palese questo amore. E’ assolutamente umano che sia così. Dovremmo imparare a rendercene almeno conto. In gergo tecnico (psicologia), questo atteggiamento si chiama “bias di conferma” e spinge le persone a muoversi entro un ambito delimitato dalle proprie convinzioni acquisite, tentando di ricondurre a tale ambito qualsiasi situazione si trovino a sperimentare.
A volte sono anche le circostanze ad essere foriere di informazioni scorrette. In un ambito in cui si vuole stupire la platea, in una situazione in cui si vuole apparire più informati, più scaltri, più rapidi ad afferrare i concetti, più “studiati”, si tende a “spararla grossa”, sapendo che tanto – dopo pochi giorni – si potrà contare sull’oblio che la memoria garantisce naturalmente alle “sparate” degli amici.
Esempio: a me piace il vino, mi piacerebbe troppo che il vino facesse bene. Così mi sentirei giustificato a bere il vino perché lo berrei…per la mia salute! Cerco notizie di qualche studio scientifico che dica che il vino fa bene. Lo trovo, ma – leggendo bene – scopro che il beneficio è legato ad un singolo componente. Ma nel vino c’è anche l’alcool e tutta la documentazione scientifica seria a riguardo dice che “non esiste una dose minima” – che possa far bene – di questo elemento. Il mio bias di conferma fa sì che la mia ricerca invece si fermi ai benefici e non vada oltre. Perché è quello che desidero leggere, che mi fa stare meglio con me stesso e mi fa rimanere nella mia comfort-zone. Da quel momento in poi, mi autoconvinco di aver fatto una ricerca approfondita e non la ripeterò nuovamente. Anzi, continuerò con il processo di conferma, facendo “cherry-picking” (scelta accurata) di tutte e sole le notizie che, in un modo o nell’altro dicono che il vino fa bene. Immaginate ora il danno che può fare il bias di conferma nel caso di un medico che parla in televisione di salute e alimentazione. Ora, mettete che io non abbia voglia di fare alcuna ricerca approfondita nel merito. Però ricordi di avere un amico che è uno dei massimi esperti di nutrizione. Lo chiamo e gli faccio la domanda (inadeguata ai fini della ricerca): “Mi fa male bere un bicchiere di vino al giorno”? La circostanza della telefonata e quella della nostra amicizia, fa sì che l’esperto, mi risponda: “Bevi, non ti preoccupare, non ti succede nulla”. Ecco, anche in questo caso bisogna fare attenzione, perché l’esperto è lo stesso che, in circostanze diverse, è il primo a sapere e dire che non esiste dose sicura per l’alcool. Diverso è il consiglio, che tiene conto di diversi aspetti, che un medico può dare ad un amico.
Nel caso reale, ho ricevuto la notizia di ArezzoWeb via WhatsApp da un mio amico, all’interno di un gruppo con altre persone come destinatari. Il soggetto in questione è un po’ di tempo che propone, all’interno del gruppo o anche di persona, temi complottisti: si va dalla presunta messa in scena dell’allunaggio degli americani al negazionismo sul cambiamento climatico (anche se la tesi sposata varia dalla negazione totale del problema alle cause non antropiche). Non ultimo, c’è anche il tema dei vaccini. Nonostante uno dei suoi motti sia proprio: “la vita inizia al di fuori della tua comfort-zone”, tende purtroppo a sguazzare letteralmente nel bias di conferma. Ardito sperimentatore di droghe leggere, il suo cherry picking arriva a pescare nell’ambito cinematografico che lo porta a confondere l’uso ricreativo di funghetti allucinogeni con la terapia adiuvante in ambito medico controllato o peggio con l’estrazione dei principi attivi per farmaci sperimentali contro alcune patologie psichiche. Anche per le sue fantasie sulla presunta messa in scena dell’allunaggio, la “pistola fumante”, o peggio, la spiegazione andrebbe ricercata nella produzione cinematografica, questa volta, quella degli anni ’70 (il film “Capricorn One”). Insomma, siamo di fronte ad una vittima conclamata del bias di conferma. Questa consapevolezza non deve però sfociare nel pregiudizio, anche perché, in passato, sono riuscito a farlo ragionare (sempre e solo guidandolo nella selezione delle fonti) su questioni paradossalmente molto più complicate come l’infondatezza scientifica dell’omeopatia e dell’osteopatia. Quindi, andiamo avanti.
Come possiamo però evitare il bias di conferma e quello di circostanza? A volte, non si può evitare. E’ sufficiente tenerne conto. Non è nemmeno detto che, una persona affetta dal bias di conferma o di circostanza diffonda un’informazione falsa o scorretta. Però è opportuno prendere in esame tale possibilità. Drizzando le antenne.
2 – Raccogliere tutte le informazioni possibili sulla fonte dell’informazione
Questo passaggio è davvero fondamentale. L’optimum sarebbe quello di evitare “intermediari” nel processo di acquisizione delle informazioni. Arrivare alla fonte primaria e indagare in maniera diretta sulla storia di questa fonte è chiaramente il miglior modo di procedere. Un giornale, un divulgatore, una persona informata sui fatti, che siano stati ripetutamente colti a mistificare la realtà, a sfruttare i chiaroscuri o peggio ad inventare di sana pianta le notizie, devono essere necessariamente abbandonati per inaffidabilità. Nessuno è infallibile, ma è proprio per questo che si valuta una fonte in base all’abitudine che ha di riportare i fatti in maniera corretta. In genere andrebbero escluse a priori tutte le fonti di parte (per ragioni politiche, per questioni di conflitti d’interessi, per amicizia o parentela con le persone coinvolte nei fatti). Questo non significa che siano fonti non attendibili in assoluto, ma – in presenza di altre fonti più neutrali – è bene scegliere quest’ultime o prendere le prime con le pinze.
Viviamo in un momento in cui, chiunque apra un blog diventa un giornalista, chiunque abbia un account Instagram, un fotografo e chiunque possegga una videocamera o uno smartphone è promosso, sul campo, reporter. Però i giornali e i giornalisti, siano essi pubblicisti o professionisti, sono considerati ancora importanti e autorevoli, così come tutto quello che proviene da tv, radio, carta stampata e testate online registrate. Eppure questa considerazione non ha più ragione di esistere, perché essere iscritti all’albo dei giornalisti, parlare in tv o scrivere su giornali propriamente detti, non è più garanzia di nulla. Né di competenza, né di professionalità. Così come non è garanzia di indipendenza, correttezza o trasparenza il fatto che qualcuno pubblichi le proprie inchieste o propri approfondimenti in una bacheca pubblica. Quello che conta, oggi, è la reputazione che ognuno di questi attori si costruisce. L’affidabilità di una fonte è data dalla sua storia. Punto.
Attenzione, però: qualunque fonte che esprima opinioni, per quanto colorite e accalorate possibili non diventa automaticamente una fonte non affidabile. Tutti siamo liberi di pensare quel che ci pare. Quello che non è consentito è tramutare le nostre idee, le nostre opinioni o le nostre ipotesi in tesi, in fatti. I fatti vanno dimostrati. Il tifo politico non è sbagliato, le nostre passioni sono sacrosante e possiamo dedicarci ad esse anche ingannando noi stessi. Quello che non dovremmo fare è ingannare gli altri, solo perché una cosa ci piace particolarmente.
Va ricordato che “raccogliere tutte le informazioni possibili sulla fonte” significa indagare tanto sui gruppi quanto sui singoli: se un giornale o un sito hanno una storia di comprovata correttezza, non è detto che i singoli autori non possano avere un canale da dove diffondono informazioni scorrette. Inoltre occorre fare indagini senza mai fermarsi al principio di autorità, cioè dando per scontata l’affidabilità di una persona solo perché dotata di un titolo o di un riconoscimento. Basti pensare che, perfino i premi Nobel sono finiti a diffondere informazioni false, o perché affetti da demenza senile, o perché sotto effetto di stupefacenti con effetti a lungo termine, o per trasgressione epistemica (espressione di giudizi da parte di chi ha la competenza o esperienza adatta a dare giudizi in un campo particolare, ma si sposta in un altro campo nel quale non ha alcuna o poca competenza, per esprimersi allo stesso modo) o ancora per mancato aggiornamento sulla materia.
Esempio: arriva l’estate, la gente abbandona i cani sul terrazzo di casa per andare in vacanza. Su Facebook gira un numero di telefono per chiamare il servizio “SOS Cani” per denunciare i padroni e dare assistenza a questi animali. Guardando le condivisioni, su Facebook, risalgo rapidamente alla fonte da cui è partita la diffusione di questo numero. Scopro che si tratta di “Lorenzo Croce” che si è in passato più volte distinto per aver diffuso notizie completamente o parzialmente inventate sul tema della “difesa degli animali”. Evito quindi di contribuire alla sua propaganda.
Nel caso reale, ArezzoWeb non è la fonte primaria e, nonostante abbia dei precedenti dove fa da megafono di notizie assolutamente false, non è né un sito complottista, né una testata dedita alla diffusione di fake news. La redazione di ArezzoWeb segnala inoltre che l’articolo è stato realizzato traducendo un post dal blog britannico “Conservative woman”, dichiaratamente schierato a destra (se fosse italiano, sarebbe un sito “sovranista”). Sarà un caso che l’oncologo abbia trovato spazio, per le sue deduzioni, proprio e solo su questo sito? Intanto, abbiamo trovato la nostra fonte primaria: l’oncologo Angus Dalgleish. La sua storia? Dalgleish è stato un politico dell’UKIP (partito euroscettico e nazionalista britannico), ha fondato un gruppo segreto insieme ad altre persone, tra cui un ex appartenente ai servizi segreti, ha tentato di screditare la rivista Nature (con mezzi ai confini del lecito), rea di non aver pubblicato i suoi studi scientifici che gli avrebbero permesso di guadagnare dal vaccino anti covid, creato dall’azienda di sua proprietà e diverso dagli altri vaccini perché non basato su mRNA. Direi che ce ne è abbastanza per stabilire che non siamo di fronte ad una fonte affidabile. Praticamente un venditore di auto a benzina che, per cercare di vendere le sue auto, dice che quelle elettriche fanno venire il cancro…La cosa bella è che i vaccini a mRNA sono studiatissimi, testatissimi e soprattutto sono quelli più promettenti come candidati per la creazione di un vaccino per…il cancro!! Esattamente, un vaccino che previene i tumori. E la notizia è talmente sensazionale che anche uno abbottonato come Roberto Burioni, ha scritto un libro sulla faccenda dal titolo: “Match Point“. Diciamo che, ammettendo anche l’ipotesi assurda avanzata dall’oncologo inglese, sarebbero quantomeno in controtendenza o non aggiornate. Consideriamo poi che, grazie alla tecnologia a mRNA, i vaccini contro il cancro esistono già e sono in fase avanzatissima di sperimentazione, proprio perché sono “figli” dei trionfi dei vaccini a mRNA usati contro il Covid.
Ma quand’è che si può pensare di dare un’altra possibilità ad una fonte che, in passato, si è resa responsabile di disinformazione? E come possiamo essere sicuri che una fonte affidabile non inizi proprio durante la nostra indagine a diffondere informazioni scorrette? Molto semplice: per prima cosa, possiamo dare una nuova possibilità a chiunque ammetta gli errori del passato. Chi persevera nell’errore e tiene il punto nonostante le evidenze lo abbiano ampiamente sbugiardato è da cancellare totalmente dal novero delle fonti. Occorre inoltre essere sempre sul chi va là e non dare mai nulla per scontato. Purtroppo, dai “futuri impazzimenti” non ci tutela nessuno. L’unica arma a disposizione, in questi casi, è quella della pluralità delle fonti di informazione. In passato, lo Stato ha finanziato le fonti d’informazione proprio per garantire la pluralità, cioè per evitare un’informazione a senso unico (anche se i meccanismi di finanziamento erano molto ambigui e si prestavano ai soliti inganni all’italiana). Per fortuna, anche senza i finanziamenti pubblici, grazie soprattutto alla tecnologia, il problema della correttezza dell’informazione riguarda solo i pigri, i superficiali, i dannatamente stupidi e – ahimè – quelli che si fanno sopraffare dalle proprie paure o dai propri sogni/desideri (attraverso il bias di conferma).
3 – Valutare la fonte per competenza
Chi è che parla? Un meccanico che ci illustra le ultime scoperte in campo medico? Un nutrizionista che ci spiega come si balla il tip tap? Possibile e magari anche ineccepibile dal punto di vista dei contenuti e della correttezza, ma sicuramente non auspicabile per una questione statistica: in genere, chi svolge una determinata professione, ha le competenze per fare quella specifica professione e non altre (con le dovute eccezioni). A sentire il parere di tutti, in un campo in cui sono necessarie determinate competenze, si rischia – oltre alla perdita di tempo – di giungere alle conclusioni sbagliate. Il miglior compromesso, in questi casi, è quello di attribuire dei pesi alle opinioni dei vari interlocutori, proprio in funzione delle competenze di ognuno, in quel determinato campo. Questo non significa che poi ognuno sia libero di dire qualunque castroneria gli passi per la mente, perché – ricordiamolo – chiunque avanzi un’ipotesi, in un ambito dove è possibile dimostrare le proprie affermazioni, ha poi l’onere della prova (cioè deve essere lui a dimostrare quello che dice). Ci sono degli ambiti infatti, dove, le opinioni possono avere la loro dignità indipendentemente dalle dimostrazioni. La politica, ad esempio. La cucina, l’arte, la filosofia, lo sport, lo spettacolo. C’è solo un ambito, invece, in cui proprio non si può prescindere dalle competenze: la scienza.
Esempio: Adriano Panzironi è un giornalista, non dovrebbe occuparsi di nutrizione. Avrebbe potuto magari proporre le sue idee ad un dietologo o quantomeno ad un medico (se non la conoscete, leggete la storia di Jorge Odon, un meccanico all’OMS) e forse oggi avremmo una dieta che non ci illude fraudolentemente di vivere 120 anni, ma un percorso di salute, senza effetti collaterali. Davide Vannoni era laureato in Scienze della Comunicazioni, eppure proponeva cure per le malattie neurodegenerative con i risultati che abbiamo – nostro malgrado – potuto osservare (100% dei pazienti morti). Carlo Rubbia è un Premio Nobel per la Fisica, non dovrebbe parlare di clima. Lo stesso dovrebbe fare John Clauser, anche lui Nobel per la Fisica che azzarda trasgressioni epistemiche nella modalità peggiore (parla ai giornali invece di mettere nero su bianco le sue tesi e proporle alla verifica dei pari tramite la pubblicazione su una rivista scientifica). Cosa che invece possono fare i più recenti premi Nobel Syukuro Manabe e Klaus Hasselmann, che hanno ottenuto il prestigioso riconoscimento proprio per le loro ricerche sui modelli climatici e sul riscaldamento globale.
Nel caso reale Angus Dalgleish ha tutte le competenze necessarie per fare le sue osservazioni. E’ un oncologo e può propriamente parlare di tumori e incidenza degli stessi. Certo, sarebbe meglio che condividesse le sue importanti “scoperte” con i suoi pari, ma dal punto di vista della competenza, ci siamo proprio. L’algoritmo, in questo caso, potrebbe saltare questa verifica (perché fatta a priori) senza compromettere il suo funzionamento e la sua validità.
Quando si parla di competenza, è sempre bene fare una distinzione tra chi argomenta le proprie ipotesi e chi indica le tesi degli esperti di quell’argomento. Una persona che non ha competenze in una determinata materia e pensa di poter impartire lezioni alla platea che lo ascolta è chiaramente un presuntuoso e va ascoltato solo finché è in grado di dimostrare le sue tesi. Una persona senza competenze che però illustra le teorie – dimostrate e verificabili – degli esperti, tenendo sempre conto delle circostanze e della storia di questi esperti (vedi punto 1 e punto 2), dà un contributo positivo al dibattito e non potrà mai essere tacciata di presunzione o di arroganza. Una persona senza competenze che si rifà a teorie di persone con competenze, che però hanno conflitti d’interessi, storia passata di mistificazione della realtà, inganni, propaganda politica o soffrono di demenza senile, è una persona che dà un contributo negativo al dibattito e non va presa in considerazione. Certo è che, se a parlare fosse un esperto di quella materia che si rifà ad altri esperti di quella stessa materia, non credo ci sia bisogno di dire che sarebbe il caso migliore.
4 – Cercare riscontri della stessa notizia provenienti da altre fonti affidabili
In questo, la tecnologia ci aiuta. Una delle prime cose da fare è cercare quella stessa notizia su Google e vedere se ci sono altre fonti (affidabili, vedi punti sopra) che ne parlano. Il primo sospetto potrebbe venire apprendendo che la notizia letta ha un’unica fonte. Il sospetto potrebbe essere confermato se la notizia viene riportata tale e quale da altre fonti, ma schierate politicamente dalla stesa parte. A volte si è molto fortunati e si trovano siti di debunking (specializzati nella verifica dei fatti) che fanno il lavoro sporco per noi: analizzano le notizie (utilizzando proprio questo algoritmo) e spiegano perché si tratta di realtà completamente distorta, informazione non propriamente corretta o semplici ipotesi di parte che non hanno quindi alcun valore concreto. Altre volte succede qualcosa di paradossale: la notizia viene trovata su un sito che è spazzatura certificata al 100% da anni e anni di notizie false trovate su questo sito. Beh, anche il quel caso, la probabilità di aver letto una fandonia o un’informazione pretestuosa sale alle stelle.
Esempio: “La muraglia cinese è l’unica opera umana visibile dallo spazio”. Cercando questa informazione su Google, ci si imbatte in diverse fonti che confermano il fenomeno. Eppure ce ne sono tante altre che smentiscono questa possibilità. Su Wikipedia c’è una spiegazione molto semplice che fa capire quale potrebbe essere la confusione che porta a generalizzare. In ogni caso, esistono delle fonti affidabili come la NASA e l’ESA (Agenzia Spaziale Europea) che chiariscono come tale opera umana inizia ad essere visibile ad occhio nudo dallo spazio (in particolare condizioni atmosferiche) a circa 160 km di altitudine, ma da lì si vedono numerosi artefatti umani: autostrade, navi in mare, ferrovie, città, campi coltivati, perfino singoli edifici. Seguendo l’algoritmo descritto fino a qui (punti 1-2-3) è facile arrivare alla conclusione che si tratta di un’affermazione tanto suggestiva, quanto priva di fondamento.
Nel caso reale, scrivendo il nome dell’oncologo britannico su Google si può risalire alla stessa notizia, ma datata 26 novembre 2022 e – guarda caso – le fonti appartengono praticamente tutte alla stessa area politica: si va dalla destra liberale a quella sovranista/complottista o rossobruna. C’è il giornale “LaVerità”, c’è “ImolaOggi”, il blog di “Maurizio Blondet”, siti internazionali nati durante il Covid per fare allarmismo proprio sui vaccini e altri siti minori che raccolgono altre notizie su complotti vari. Dalla ricerca emerge anche tutta una serie di informazioni preziosissime sulla storia dell’oncologo Dalgleish. Ma questo appartiene ad un altro punto del procedimento di analisi. Ci sono soprattutto i suoi trascorsi burrascosi con la rivista Nature, a seguito delle sue illazioni nei confronti della rivista, dopo che questa aveva negato la pubblicazione degli studi (fallimentari) del vaccino prodotto dalla sua azienda.
Quand’è che è possibile arrestare la ricerca di altre fonti? Quando si ha un quadro chiaro della situazione. Si tratta di elementi che vanno tenuti in stand-by. Non devono essere gli unici parametri di giudizio, ma devono contribuire correttamente all’analisi delle informazioni che si vogliono valutare. Occorre quindi inserire tutti i tasselli al posto giusto. Mai usare la sola disponibilità di altre fonti (magari solo dell’opposta fazione politica) per decretare l’inconsistenza di una notizia e prendere subito per buona la narrazione dell’unica altra campana.
5 – Valutare la notizia nel merito
Arriviamo finalmente all’aspetto centrale della questione: il contenuto della notizia, le affermazioni, tutto quello che è possibile verificare. Ecco, per fare questo tipo di analisi, purtroppo, serve un esperto in quel campo. Noi non possiamo fare nulla. La logica ci aiuta, ma se non conosciamo perfettamente anche tutti gli inganni che si celano nei possibili ragionamenti umani, corriamo il rischio – facendo da soli – di prendere grosse granchi. Per questo, dobbiamo necessariamente studiare, approfondire e mantenere un profilo molto cauto nel dare i nostri giudizi. Quello che possiamo fare – e non è affatto una cosa alla portata di tutti – è andare a cercare un esperto VERO (senza una storia pregressa di errori, falsificazioni, pretesti o altro) che spieghi e si addentri nel merito esatto di quello di cui parla l’informazione che abbiamo ricevuto.
Se si parla di scienza, purtroppo, il compito è molto, ma molto più complicato. Chi è lontano dal mondo della scienza e della ricerca non conosce molti meccanismi che si celano dietro a questi sistemi di conoscenze. Il primo e più importante meccanismo che molti ignorano e la cui mancanza può, da sola, scardinare qualunque tipo di argomentazione di cui si presume la validità è il cosiddetto “metodo scientifico“. Non si può prescindere da questo metodo se ci si addentra nella valutazione di un’informazione nel campo della scienza. La primissima occasione che si ha d’imbattersi nel metodo scientifico è alle scuole elementari. Questo concetto viene spiegato in maniera semplice, con 5 passaggi individuati da : osservazione, sperimentazione, misura, produzione di risultati e verifica. Alle elementari non si hanno ancora tutti gli strumenti per capire a fondo il significato di tutti questi passaggi. A volte capita che si cresca e non si arrivi mai ad afferrare bene tutti questi concetti. Il rifugium peccatorum, in questi casi è il complottismo. Tutti i complottisti in buona fede (cioè quelli che proprio non ci arrivano) sono figli della non comprensione del metodo scientifico. Tutti gli altri, sono semplicemente dei disonesti o dei banditi (truffatori).
A volte basterebbe avere un metodo per scoprire se un’informazione è valida oppure no. Non serve che sia scientifico. Eppure esistono tante persone che non riescono nemmeno ad arrivare ad applicare un metodo qualsiasi; pensano davvero che, andare a naso, a intuito, a sentimento porti sul serio da qualche parte. Certo, è vero, ci sono tanti casi in cui accade proprio “quello che uno sentiva”, ma il problema è che tutte le previsioni che hanno avuto un riscontro positivo nella realtà vengono poi inesorabilmente sommerse da quelle fallite. Una persona che non applica un metodo – ad esempio – nel valutare se una medicina è efficacie o meno, segue questa prassi: ha un male, prende il rimedio e poi stabilisce se “su di lui funziona”. Grazie a questo meccanismo, che non ha alcun tipo di valenza scientifica (si chiama: procedimento per aneddoti), molte aziende e molti professionisti che producono farmaci o terapie senza alcun tipo di fondamento scientifico, si garantiscono la loro fetta di mercato in quello che è il business della cosiddetta “medicina alternativa” (che non dovrebbe proprio essere chiamata “medicina”). Il “non metodo” degli stupidi, purtroppo, ha un grosso impatto nell’opinione pubblica e rischia spesso di influenzare anche chi un minimo di raziocinio ce lo ha. Un approccio non ripetibile come il non-metodo del su di me funziona è sovrapponibile al caso, cioè alle scelte e alle conclusioni arbitrarie. Per potersi chiamare metodo, deve essere riproducibile, deve seguire degli step, che devono essere sempre uguali, non variabili arbitrariamente.
La scienza, il concetto semplice di metodo, lo ha superato completamente “inventando” il metodo scientifico. Non solo si segue un algoritmo, ma l’algoritmo è sempre quello e in questo modo i dati e gli esiti sono confrontabili. Quando valuta l’efficacia di una medicina, ad esempio, il metodo scientifico non prescinde mai (tranne nei casi in cui non sia applicabile o quando non serva che sia così rigoroso) dai seguenti cardini:
- la presenza di un numero statisticamente significativo di cavie
- il doppio cieco (né chi somministra la medicina, né chi la prende sono a conoscenza della presenza del principio attivo all’interno della medicina che viene somministrata)
- la presenza di un gruppo di controllo (cioè un numero statisticamente significativo di cavie alle quali viene somministrato un placebo, cioè qualcosa che sia indistinguibile dalla medicina sottoposta a verifica di efficacia), per vedere se il condizionamento psicologico del “prendere una pillola” si tramuti o meno in condizionamento psicosomatico, cioè guarigione “spontanea”.
Solo per fare un esempio: esistono pillole o terapie inutili che non sono stati sottoposti a questo tipo di test, ma si vendono ugualmente come rimedi possibili. Ce ne sono altri, come ad esempio i rimedi omeopatici (impropriamente chiamati “rimedi”) che sono stati sottoposti ad una quantità enorme di verifiche di questo tipo e tutte le volte la conclusione è stata che non funzionano più di un placebo. Eppure vengono venduti in farmacia e proposti da molti operatori del settore come “medicinali”. Il motivo per cui non si blocca la vendita è che male non fanno. Si tratta semplicemente di placebo diversi prodotti da diverse aziende. Ma sono tutti assolutamente inutili (ne basterebbe uno per tutti i mali), a prescindere dall’aneddotica (cioè dal fatto che a qualcuno effettivamente possa passare un mal di testa dopo aver preso una pallina di zucchero omeopatica). Per intenderci: i test fatti con l’aspirina non registrano il 100% delle guarigioni, cioè c’è qualcuno che prende l’aspirina e non gli passa alcun male, così come c’è qualcuno che prende la pillola omeopatica e il male scompare, ma è proprio grazie al numero statisticamente significativo di cavie che si stabilisce poi, con quei grandi numeri, il fatto che i rimedi funzionino o no: per dirlo la loro efficacia deve necessariamente superare quella del placebo.
Un’altra distinzione da avere ben chiara nella mente, quando si fa una valutazione nel merito, è quella tra correlazione e causalità. In questo caso, bisogna ammettere di essere in presenza di un concetto per niente banale e che non è possibile spiegare a chiunque. Serve un livello di istruzione superiore. In parole povere: il fatto che due fenomeni siano correlati, cioè che i loro valori – nel tempo – abbiano lo stesso andamento, non significa affatto che tra di loro esista un rapporto di causa-effetto e cioè che il verificarsi dell’uno sia causato dal verificarsi dell’altro. Quest’ultimo rapporto, infatti, va dimostrato con dei test che seguano il metodo scientifico (di cui abbiamo illustrato le “conditio sine qua non”). La correlazione, per dirla in maniera più rigorosa, è condizione necessaria per la causalità, ma non sufficiente.
L’ultimo concetto che va compreso in maniera profonda, per poter valutare una notizia nel merito, è quella di “comunità degli esperti“. Per spiegarlo nella maniera più agevole possibile, si può fare riferimento ad un caso particolare, che si può poi comodamente allargare al caso generale per semplice estensione, mutatis mutandis. Il significato di “comunità scientifica” – questo il caso particolare – porta con se una serie di altri concetti importanti, che fanno comprendere in che modo la scienza sia al riparo da eventuali sabotaggi e perché riesca sempre ad autoemendarsi senza dover demolire i suoi principi fondanti. La comunità scientifica non è l’insieme di tutti gli scienziati o di tutti i ricercatori che si occupano di questa o quella branca delle scienze. Piuttosto è un concetto astratto che coinvolge persone, cose e situazioni, partendo da un gruppo di esperti, che svolge attività di ricerca organizzata con procedimenti metodici e rigorosi. Alla comunità scientifica, ad esempio, non appartiene un medico radiato dall’albo per condotta antiscientifica o deontologicamente scorretta. Non vi appartengono quegli scienziati che non danno più alcun contributo alla comunità, perché non si aggiornano o perché non si confrontano con i pari, nemmeno quelli che, invece di dibattere con i colleghi (che hanno le competenze per criticarli), si rivolgono direttamente alle persone comuni (che il più delle volte non hanno gli strumenti per muovere obiezioni). Non appartengono alla comunità scientifica di una determinata branca della scienza, tutti quelli che commettono trasgressioni epistemiche, salendo in cattedra in ambiti in cui non hanno competenze, criticando il lavoro di tutti gli altri scienziati che invece rimangono nei ranghi della propria specializzazione. Va da se che non appartengono (più) alla comunità scientifica tutti quegli scienziati che smettono di utilizzare il metodo scientifico, per non parlare di quelli che vengono colti ad ingannare la stessa comunità, ad esempio, utilizzando dati falsi, parziali o falsati (esempi lampanti: Andrew Wakefield, Jacques Benveniste o Gilles-Éric Séralini). Va invece annoverata tra gli esempi positivi di come la comunità scientifica funziona e salva se stessa da eventuali errori di percorso, la figura di Paolo Zamboni, uno scienziato che, invece di innamorarsi della sua presunta scoperta, ha collaborato con i colleghi per metterla in discussione e, grazie a questo modo costruttivo di procedere, la scoperta è stata ridimensionata. Innamorarsi delle proprie tesi, purtroppo, porta contributi negativi alla comunità scientifica e, a volte, per questo motivo si finisce per rimanere ai margini, ma a ragion veduta. Uno scienziato che s’innamora (innocentemente) delle proprie presunte scoperte e tenta di imporle nonostante lo scetticismo dei rimanenti pari livello, rischia di compromettere la percezione che, dall’esterno, si ha della comunità scientifica. Uno scienziato che s’innamora delle proprie idee per scopi commerciali (forza le proprie tesi quando ancora non sono state verificate per vendere il prodotto di queste idee) è molto ai confini del comportamento corretto (si veda l’esempio di un medico e di un ingegnere che hanno brevettato e messo in commercio una lampada che elimina virus e batteri, ma che è stata testata solo in condizioni di laboratorio).
Ogni tanto, quando spiego il concetto di “comunità scientifica”, salta fuori qualcuno che fa un paragone davvero insensato e miserabile, con il passato. Ora, premesso che la “comunità scientifica” che fa test rigorosi con tutti i crismi del metodo scientifico, esiste praticamente solo dal 1665, cioè da quando è stata pubblicata la prima rivista al mondo dedicata esclusivamente alla scienza (ne esisteva una anche prima, ma era piena di contenuti non scientifici). Fare paragoni col passato, cioè con quell’epoca in cui filosofia e religione si mescolavano insieme alla scienza per regalarci perle come: “[…] battere 100 volte il contenitore sulla Sacra Bibbia […]”, appare davvero pretestuoso. In genere, il personaggio che viene tirato fuori dal cilindro, per sostenere che “alcune scoperte della scienza all’inizio non sono state apprezzate e poi sono diventate dei dogmi” è Galileo Galei. Allora, primo punto: la scienza non è dogmatica perché è la prima ad ammettere i propri limiti, accettando la complessità di molti aspetti della conoscenza dell’universo e mettendosi in continua discussione. Non a caso, sfogliando le pubblicazioni scientifiche, alla ricerca di studi su una particolare questione, si possono trovare aggiornamenti di quegli stessi studi che fanno riferimento agli studi precedenti o alle cosiddette “revisioni sistematiche” cioè ad una rassegna esaustiva della letteratura scientifica relativa a un dato argomento, fatta con particolare attenzione alle fonti, che devono essere altamente referenziate, per individuare, evidenziare e valutare tutte le prove pertinenti a una specifica questione scientifica. È un metodo che ha iniziato ad essere usato solo dopo il 1980 (pensate quindi quanto abbia senso paragonare lo stato dell’arte della ricerca scientifica e dei metodi odierni con quelli del passato). Confutare, con l’onere della prova, “verità” date per scontate non è un atteggiamento antiscientifico, ma è l’attività periodica di tutta la comunità scientifica. Se le tesi vengono confermate, le conclusioni sono più solide, se non vengono confermate, si incoraggiano nuovi studi – per cercare di capire meglio – finché non si giunge a nuove conclusioni. Fino a quel momento, NON si è autorizzati in nessun modo, se si vuole seguire il metodo scientifico, ad affermare il contrario di quanto è descritto nelle evidenze degli studi. E’ il caso delle false credenze sul “residuo fisso delle acque minerali che fa venire i calcoli renali”, delle proprietà della Vitamina C, ridimensionate nel tempo, delle revisioni sull’ aerosolterapia, che hanno decretato la sua inutilità per molti trattamenti specifici. A questo punto, gli stolti potrebbero dire: “vedi, ci sono convinzioni della scienza che poi vengono confutate”. Benissimo, quindi? Con questo vorreste dire che, nonostante non ci sia 1 studio che affermi che l’omeopatia funzioni e nonostante tutti i test scientifici fatti finora decretino l’inutilità di tali rimedi, dovremmo prendere per buona la pratica omeopatica perché un giorno – non si quando e non si sa seguendo quale percorso di ricerca – verrà scoperto che l’omeopatia funziona? Insomma, dovremmo crederci perché, a naso, a qualcuno sembra che gli studi potrebbero un giorno essere sovvertiti? Dovremmo iniziare a credere che i vaccini causino l’autismo perché, nonostante la faccenda sia uno dei più clamorosi casi di frode scientifica (lo studio falsificato da Andrew Wakefield), secondo qualcuno, sempre a naso, prima o poi, le evidenze saranno diverse? Ma che razza di metodo è questo? E soprattutto, perché, pur avendo a disposizione un metodo sì fallibile, ma che ha dimostrato nel tempo di essere quello che fallisce meno volte di tutti gli altri, dovremmo utilizzarne un altro che ci prende solo nel 50% dei casi? Ma voi, in una stanza buia, per cercare un ago, usereste la torcia che avete in tasca oppure procedereste a tentoni, rischiando anche di bucarvi una mano? Non è detto che, con la torcia, riusciate a trovare l’ago, ma sarebbe davvero stupido non utilizzarla.
E veniamo a Galileo Galilei. Galileo non venne perseguitato dai suoi colleghi scienziati, ma da chi credeva in tesi supportate solo da credenze religiose. La scienza non ha mai avuto bisogno di martiri, perché ha sempre dimostrato la sua validità non con i dogmi, ma con le dimostrazioni. Qualcuno potrebbe pensare che la scelta dell’abiura (rinnegare le sue idee eliocentriche) fosse stata un atto di pavidità, perché, al contrario di Giordano Bruno, non si lasciò mandare al rogo. Ma Bruno era un filosofo, non aveva dati concreti, poteva solo testimoniare le sue idee attraverso un sacrificio estremo. Galileo invece aveva dalla sua parte la realtà che rispondeva positivamente al modello elegante dell’Universo conosciuto allora: con un Sole al centro e i pianeti che gli ruotano attorno. L’abiura non ha nessun valore scientifico, non cancella la validità di tesi che per altro venivano già sostenute da Niccolò Copernico (1473 – 1543) e Giovanni Keplero (1571 – 1630).
Ogni volta che un teorico delle tesi di complotto viene colto in “flagranza di bufala”, una delle sue ultime disperate difese è in genere quella di paragonarsi a Galileo. Anche lui, il complottista, sarebbe un perseguitato che sfida le tesi ufficiali, con la differenza che – stranamente – questi auto-proclamati “ricercatori indipendenti” non abiurano mai, anzi continuano a pubblicare quello che vogliono, senza subire la benché minima forma di censura. Galileo non era considerato affatto un complottista, ma un eretico, dalla Chiesa Cattolica, che iniziava a preoccuparsi perché vedeva il proprio potere politico minacciato. La non geocentricità dell’universo aveva ovvie conseguenze politiche sulla solidità della narrazione biblica e questo alle autorità ecclesiastiche faceva paura. Il complottismo non c’entra niente.
Avere dei dubbi inoltre è sempre legittimo, ma i dubbi delle persone non sono tutti uguali e non hanno tutti la stessa rilevanza. È normale non capire qualcosa che non fa parte delle nostre competenze. Quello che si chiede, però è di avere un po’ di umiltà. Se leggete un testo scritto da professionisti del settore e vi sembra di trovarci qualcosa di sbagliato, le cose sono due: in un caso su cento è effettivamente sbagliato (e magari si tratta solo di una svista, di un errore di battitura), ma nei restanti novantanove non avete capito qualcosa. Esiste un principio metodologico, quello del “Rasoio di Occam“, che non vi lascia scampo: la soluzione del problema è assai più volte quella più semplice e probabile, piuttosto che quella inutilmente complicata e più improbabile.
Quindi, se uno non capisce, chiede, ascolta e impara dagli esperti oppure legge, approfondisce, capisce e impara da solo (se si hanno gli strumenti adatti per farlo). Ma mai e poi mai, se uno non capisce, dovrebbe essere tanto arrogante da pensare di poter mettere in discussione l’operato quotidiano di un’intera comunità di professionisti. Non si può salire in cattedra solo perché si può contare sull’aiuto di vari mistificatori della realtà, complottisti, pseudoscienziati, esperti disonesti o venduti alla politica o ad interessi di parte (che, però ricordiamo, sono sempre una minoranza, per fortuna), per lo stesso motivo per cui non si può diventare un calciatore di Serie A allenandosi due volte a settimana, indipendentemente dal proprio talento (oddio, forse il calcio è l’esempio più sbagliato, ma di certo il paragone è valido con il nuoto, ad esempio).
Come si può accettare, ad esempio, la presunzione e l’arroganza di chi, in base ad alcune frasi di Samantha Cristoforetti, interpretate in modo arbitrario e tolte dal loro contesto, sostiene che l’astronauta avrebbe negato la possibilità di missioni lunari con equipaggio? Come può saltare in mente a qualcuno che un’astronauta, che più volte ha ribadito ed esaltato le storiche missioni lunari con equipaggio, possa mai rinnegare tali viaggi spaziali? Perché queste persone non prendono in considerazione l’ipotesi di non aver afferrato il discorso, di non averlo seguito bene, di non aver seguito bene la storia con i suoi protagonisti, sia prima che dopo i fatti che hanno destato la loro attenzione? Perché si arrampicano sugli specchi di una narrazione così contorta e senza senso pur di inguainare la realtà nel fodero delle loro intriganti fantasie? Che poi, a trovare sempre una giustificazione per complotti di questi portata, si rischia di produrre così tante incongruenze che a coprirle tutte, con ulteriori sotto-complotti, si finisce per descrivere uno scenario quasi paradossale. Chi, come me, è abituato ad avere a che fare con i complottisti di professione, sa che questo epilogo è talvolta voluto. Il complottista che non è interessato alla comprensione dei fatti, usa una strategia collaudata che consiste nel travolgere gli interlocutori con il maggior numero di argomenti possibile, senza riguardo per l’accuratezza o la forza dei singoli argomenti al fine di rendere impossibile una confutazione rigorosa in breve tempo. Il vantaggio del complottista è che le insinuazioni o i dubbi pretestuosi possono essere enunciati molto rapidamente, ma richiedono molto più tempo per essere confutati o verificati. Lo scopo della tecnica è di sopraffare la capacità di risposta degli interlocutori corretti e di introdurre il dubbio nelle menti di chi ascolta il dibattito. La platea, non conoscendo questo copione e men che meno sapendo della premeditazione, tende a mettere in dubbio la capacità di discussione di chi invece cerca di portare raziocinio e buonsenso nel dibattito. Soprattutto quando chi ascolta ha una conoscenza limitata degli argomenti. Questa tecnica è in uso da molti cospirazionisti (viene anche detta “tecnica della montagna di merda“) nel contesto dei social network e sotto forma di lunghi elenchi di argomenti e riferimenti a fonti non verificate.
Per produrre una montagna di merda ci vuole poca fatica, mentre per pulirla ci vuole una fatica immensa e comunque l’odore ti rimane addosso. E questa è l’asimmetria fondamentale del cospirazionismo
Esempio: In una trasmissione televisiva di quelle “urlate”, con un conduttore che sbraita rumorosamente, che usa titoli a effetto, musiche da film giallo e servizi sensazionalistici o ai limiti dell’allarmismo (molto in voga negli ambienti novax perché insiste, in maniera paranoica, su presunti misteri, complotti, segreti e imbrogli dei politici della parte – chiaramente – avversa), viene annunciato uno scoop: le autorità sanitarie (AIFA in particolare, l’Agenzia italiana del farmaco) avrebbero nascosto dati gravi sui vaccini antiCovid, negato e mascherato effetti collaterali pericolosi, eventi avversi, conseguenze dannose. Ovviamente nessuna prova, nessun dato chiaro o oggettivo ma solo mezze frasi, inquadrature misteriose, parti di discorsi. Niente di chiaro, tutto un po’ confuso e fatto apposta per generare il dubbio. Si mostra una parte di un foglio, con qualche riga evidenziata e un dito che ne segue il decorso. Si legge la frase: “La probabilità di osservare un decesso in un anziano vaccinato da poco è elevata”. Cosa capite? È una notizia normale o allarmante? Andiamo ora a verificare la notizia nel merito. Andiamo a leggere il testo per intero: “Nei paesi europei ogni giorno si verificano migliaia di decessi che riguardano, in maggioranza, persone anziane. La probabilità di osservare un decesso in un anziano vaccinato da poco è, per questo, elevata e una eventuale responsabilità del vaccino può essere stabilita solo dopo aver escluso altre possibili cause attraverso opportuni accertamenti diagnostici”. Questa è la frase completa, non solo quella evidenziata ma tutta, senza tagli o sfocature. Cosa vi fa pensare? È una notizia allarmante o vi tranquillizza? In pratica, in questo programma è stato detto che i nostri anziani invece di essere protetti morirebbero come mosche, dopo aver fatto il vaccino. Lo ha urlato scandalizzato il conduttore della trasmissione, accusando i vertici sanitari del nostro paese di attentare alla vita degli anziani. Ma la frase completa dice ben altro, anzi proprio l’opposto. Dice che, visto che in Europa muoiono (ovviamente) molti anziani (in periodo Covid ancora di più), il fatto che tanti muoiano dopo aver fatto il vaccino è una cosa comprensibile, una possibilità per nulla allarmante, come ne muoiono tanti dopo aver fatto il bagno o una camminata e che, prima di legare le due cose, bisogna accertarsene, controllare (ricordate? Correlazione non implica causalità). Insomma, quello che chiunque dotato di buon senso e normale intelligenza riesce a capire, viene tramutato in un complotto segreto ai nostri danni. Ovviamente così si tratta il pubblico come fosse una massa di stupidi che crede a qualsiasi cosa si dice. E un po’ è vero. Le persone meno critiche, spesso con scarse basi culturali o con disagio personale si allarmano e diventano complici di queste bugie. Ecco le parole esatte contenute nella chiusura del documento che avrebbe rilevato i gravissimi segreti dell’AIFA sui rischi della vaccinazione anti-Covid: “I dati di farmacovigilianza pervenuti in Italia fino a oggi non indicano l’opportunità di modificare le indicazioni di somministrazione dei vaccini approvati dato il favorevole bilancio tra il beneficio per i pazienti e il rischio di reazioni avverse anche nei soggetti anziani”. La realtà è stata capovolta e venduta con altro significato, opposto a quello vero. E questa bufala è stata poi ripresa da altri (politici, medici, novax) che, come dei complottisti qualsiasi, hanno semplicemente diffuso una falsa notizia. Dobbiamo ancora fidarci di “Sbirulino”? Quanto ci vuole a capire che si tratta di una fonte inaffidabile? L’unica cosa possibile da fare è inserire la sua trasmissione nell’elenco delle fonti da non utilizzare.
Nel caso reale, l’oncologo Angus Dalgleish si autoesclude dalla possibilità di essere preso in considerazione come un serio e assennato scienziato. Per il percorso di studi che ha fatto dovrebbe conoscere il metodo scientifico e la prassi per discutere di nuove scoperte in ambito medico oncologico. Eppure commette ben quattro errori: il primo è quello di mettere in relazione di causa-effetto i tumori con i vaccini, nonostante lui abbia appena registrato una correlazione spuria tra tumori e terza dose di vaccino. Inoltre, questi dati non vengono da un serio studio con numeri statisticamente significativi e un confronto con i dati dei decessi per tumori specifici della popolazione. Lui ha osservato solo i suoi pazienti. E ha scelto (tramite cherry picking) di fare l’associazione tumori-terza dose di vaccino. Ora, perché non ha preso in considerazione i farmaci che queste persone assumono per fare un’associazione farmaci-tumori? Il terzo errore che fa è quello di prendere un campione a rischio. Ossia: il tumore non è che salta fuori dopo la terza dose di vaccino, il tumore esisteva già, lui infatti parla di recidive. Ora, solo per fare un esempio, una metanalisi internazionale condotta su circa 63mila pazienti (numero statisticamente significativo. Quanti pazienti potrà avere Dalgleish? 100? 1000?) dimostra che il rischio di recidiva è del 41% nelle nell’arco di 20 anni dalla diagnosi (si parla di tumori al seno). Ed è anche più alto in un arco temporale inferiore. Insomma, il rischio di recidiva è un fattore naturale che va considerato se uno vuole fare un’analisi seria per cercare un eventuale rapporto di causa-effetto tra tumori e vaccini. Il quarto errore è quello di non gettarsi a capofitto (è passato più di un anno dalla sua lettera e non ha ancora prodotto nulla) nella redazione di uno studio osservazionale da pubblicare sulle più importanti riviste scientifiche, ma di affidare le sue riflessioni ad una lettera, pubblicata su un blog politico, indirizzata al BMJ, ma di fatto irricevibile per una tale rivista (proprio in funzione del contenuto non scientifico delle sue osservazioni e deduzioni). Viene quasi il dubbio che la lettera non sia mai stata inviata realmente, o che sia stata inviata con la consapevolezza che non sarebbe stata mai presa in considerazione, per avere un pretesto per far scrivere articoli ai giornali. Nota a margine: la valutazione delle riviste scientifiche meriterebbe un “capitolo” a parte, ma non voglio complicare la questione e annoiare troppo i lettori. A questo punto dovrebbero essere in grado, da soli, di fare una ricerca su Google per capire come funziona il sistema di valutazione delle riviste scientifiche attraverso la parola chiave: “impact factor”. Le riviste con un impact factor troppo basso o nullo sono riviste predatorie, cioè riviste che pubblicano qualunque lavoro a pagamento e non vanno prese in considerazione. Certo, visti i trascorsi tra Dalgleish e Nature, non pretendiamo che pubblichi i suoi studi (NON una lettera) sulla più prestigiosa delle riviste, ma che almeno, non sia una rivista predatoria…
Nella disamina si è volutamente dato per scontato che, durante una valutazione nel merito, si verifichi anche che le notizie non siano datate e che riguardino da vicino i luoghi dove viviamo o quelli che vengono interessati dalle informazioni fornite. A volte, capita che le notizie vengano superate da altri eventi, altre notizie, altre situazioni e quindi perdano anche la loro consistenza originaria. Quei controlli, si spera, abbia imparato a farli chiunque. Per fare gli ultimi esempi: gli scandali del pomodoro concentrato riguardavano l’Asia, non l’Italia, l’allarme suscitato dai servizi di Nadia Toffa delle Iene era assolutamente infondato (ma, ci è cascata, ad esempio, Coldiretti). Gli appelli a non mangiare il pesce proveniente dal Giappone perché “radioattivo” non hanno mai avuto ragion d’essere: è stato spiegato in tutti i modi. Le informazioni dei divulgatori hanno superato di gran lunga le scemenze diffuse dai giornalisti impreparati sulle questione tecniche. A volte, guardare la data delle notizie ci evita anche brutte figure. Il 1° aprile miete vittime ogni anno tra chi ha il click facile.
Concludo dicendo che questa guida, compresa la definizione dell’algoritmo di 5 punti e la sintesi iniziale, mi è costata tempo, denaro e fatica (ci ho messo quasi una settimana per farla). Perché l’ho fatto? Perché ci tengo particolarmente alla correttezza dell’informazione e perché mi piacerebbe fare la mia parte nel rendere la società un posto migliore. Sono abbastanza certo che le persone che vorrei leggessero questa guida non la leggeranno, o si fermeranno ad un certo punto. Per questo inserisco una parola d’ordine (sternocleidomastoideo) che, chi vorrà darmi testimonianza di essere arrivato fin qui (ma mi rimarrà il dubbio che abbia letto dal basso verso l’alto), potrà fornirmi.
Infine una considerazione: in un Paese dove il sistema scolastico fa sempre più acqua, dove conta più la quantità che la qualità e la modalità dei testi che si leggono (le persone misurano la cultura in “libri cartacei letti”), dove dalle scuole superiori escono studenti immaturi che non comprendono quello che leggono, quale domanda può mai esserci per un’informazione di qualità? Figuriamoci per un’informazione scientifica di qualità. Ecco allora che l’informazione deve adeguarsi, deve inseguire la superficialità (per non dire la dilagante ignoranza) del pubblico, imbastardendosi sempre più e diventando così uno dei tanti aspetti del declino anche culturale di questo Paese.
Non avendo potuto rileggere troppe volte quanto ho scritto, immagino che lo stile non sia dei migliori e potrei essere anche incappato in diversi errori. Di ogni tipo. Chiunque volesse segnalarmeli, è il benvenuto e lo ringrazio sin d’ora.
Aggiornamento: un articolo illuminante sul perché alcuni trattamenti non efficaci sembrano utili.